mercoledì, novembre 18, 2009

Flessibilità : il lavoro mobilita l'uomo


di Nazzarena Luchetti

In un mondo che cambia velocemente, il concetto di flessibilità diventa fondamentale per il rafforzamento del mercato del lavoro. Nella maggioranza dei casi, però, dal punto di vista dei lavoratori, questa equivale a un orizzonte senza prospettive, con mobilità, rischio e incertezza. Per cui, molti lavoratori considerano la flessibilità come un’infrazione all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, perché viene meno uno dei suoi aspetti più importanti, quello di un lavoro stabile.
L’articolo, oltre a contenere l’illegittimità del licenziamento senza giusta causa, afferma il diritto del lavoratore a una stabilità reale (diritto ad avere un orario di lavoro, una mansione in una sede di lavoro stabile…).
Sebbene, nel nostro Paese, il lavoro a tempo determinato, le prestazioni occasionali e le collaborazioni siano nella media europea, persiste un condizionamento culturale che ha portato alla mitizzazione del posto fisso: il lavoro a tempo indeterminato rimane, per molti lavoratori, il contratto privilegiato.
Che il posto fisso sia un valore, lo ha affermato ultimamente anche il Ministro Tremonti attirando la replica del presidente di Confindustria, Mercegaglia, che non ritiene possibile un ritorno al passato. Sicuramente c’è più bisogno di “entrate fisse” o perlomeno stabili, piuttosto che di un posto fisso. E’ comunque importante sviluppare una cultura positiva del concetto di flessibilità, che non vuol dire precarietà. Essere flessibili è sinonimo di autonomia, capacità di adattarsi alla domanda (ricoprendo anche mansioni lontane dal proprio tipo di formazione), di aumento delle competenze: non più il posto fisso per tutta la vita ma un cambiamento di occupazione e datori di lavoro. Purtroppo, però, non è garantito sempre lo stesso reddito. Ed è questo l’aspetto più condizionante: la mancanza di un reddito continuativo, con il quale pianificare la propria vita.
Il periodo che intercorre tra un impiego e l’altro dovrebbe essere coperto da supporti per garantire quella continuità di risorse di cui normalmente si necessita per vivere. Ciò che preoccupa, quindi, non è la flessibilità in sé ma la sua ingovernabilità, la capacità di costruire un sistema di regole certe e condivise, ma soprattutto rispettate.
Sarebbe auspicabile adottare il modello danese della Flexicurity, o flessisicurezza, anche se non è ancora chiaro il legame tra flessibilità e sicurezza, tutelando non il posto fisso ma la persona. Nella flexicurity convivono flessibilità del mercato del lavoro e un sistema di protezione sociale ben funzionante. Gli ammortizzatori sociali sono mirati a sostenere chi temporaneamente è rimasto senza reddito e se la flessibilità è necessaria anche alle imprese, perché permette loro di essere più competitive, non vanno comunque tollerate quelle aziende che considerano il lavoratore come un prodotto “usa e getta”. Perché rappresenti davvero una grande opportunità, la flessibilità va inserita in un contesto di correttezza, di garanzie e di formazione, con chiare responsabilità ripartite tra istituzioni, aziende e lavoratori.

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