1) Banca d’Italia
Il direttorio della Banca d'Italia intende procedere ad una riorganizzazione della struttura periferica dell'istituto che nell'immediato comporterebbe per quanto riguarda le Marche la chiusura della sola filiale di Macerata. Resterebbero aperte, con compiti diversi, le filiali di Ascoli Piceno e Pesaro e la sede di Ancona.
I criteri di scelta per la chiusura di questa filiale, che sarebbe l'unica nelle Marche ad essere chiusa, non sono affatto chiari tanto che sono stati contestati anche dalle sigle sindacali.
Ho con me un volantino di rivendicazione della “Federazione Autonoma Lavoratori Banca d'Italia” - Sindacato Nazionale Banca Centrale e Autorità - che recita testualmente:
“Il presidente dell'Unione delle Province Italiane, On. Fabio Melilli, ha richiesto un'audizione alla Commissione Parlamentare di competenza, per sostenere le ragioni del mantenimento di tutte le filiali sul territorio.
Contemporaneamente, l'Unione delle Province Italiane ha già richiesto alla Commissione Parlamentare di promuovere un intervento sulla Banca d'Italia per indurla a sospendere la presentazione, al consiglio superiore del 28 settembre, il piano di ristrutturazione che prevede la chiusura di 39 filiali.
Prosegue, con la massima coerenza, il nostro sforzo per sensibilizzare la politica sui danni, alla collettività e al paese, che sarebbero determinati dal progetto della Banca.”
Firmato : Segreteria Generale FALBI – CONFSAL (sindacato facente parte della Federazione delle Banche Centrali Europee).
Come ho già accennato, i criteri che hanno portato alla chiusura di alcune filiali della Banca d'Italia e non di altre, anche di alcune per cui la chiusura era invece prevista, sono tutt'altro che chiari. Si suppone che l'operazione sia esclusivamente politica perché, avendo riguardo alla filiale di Macerata, filiali analoghe per grandezza, operatività, vicinanza dal capoluogo di Regione, sono rimaste aperte. (gli elementi menzionati potrebbero essere elementi presi a base per la scelta).
Per esempio: in Sicilia, dove era prevista la chiusura di sette filiali sul nove, alla fine sono state chiuse due sole filiali e ne sono rimaste aperte sette.
Si suppone che il criterio utilizzato sia esclusivamente politico. Le iniziative sul territorio maceratese a difesa della filiale della Banca d'Italia sono state essenzialmente due. La prima, un ordine del giorno presentato al comune di macerata firmato ed approvato dall'unanimità dei consiglieri. La seconda: un ordine del giorno, che ricalcava il documento approvato unanimemente dal Comune di Macerata, presentato in Provincia dal sottoscritto che invitava il presidente della provincia e l'amministrazione provinciale a intraprendere nelle opportune sedi politiche ed istituzionali tutte le iniziative indispensabili per la permanenza della filiale della Banca d'Italia ha Macerata. Quest'ultimo non è stato approvato dal consiglio provinciale mentre è stata approvata una mozione presentata dalla maggioranza di centro-sinistra più possibilista sull'accentramento ad Ancona.
La chiusura della filiale della Banca d'Italia macerata, unitamente ai tanti altri uffici che sono in difficoltà - si parla infatti con sempre maggiore insistenza anche delle ridimensionamento delle Prefetture, delle Questure, degli Archivi di Stato, delle Direzioni Provinciali del Tesoro, degli ex Provveditorati agli Studi di molti altri enti da sempre posti a presidio del territorio provinciale a tutela dei suoi abitanti - porta ad un indebolimento e ad onde l'impoverimento del capoluogo maceratese e della sua provincia.
La territorialità va difesa. Ed è mancata proprio una difesa forte delle istituzioni e della maggior parte dei politici a favore del mantenimento di un presidio che gratuitamente al servizio del territorio e dei suoi cittadini.
Non solo manca una progettualità per la Macerata del futuro, ma viene consentita le spoliazione di quanto già esistente.
2) Banca delle Marche
Analoghe difficoltà si stanno vivendo in questi giorni per la Banca delle Marche, per la quale si parla breve di una fusione con un grande istituto bancario nazionale (si pensa sia l’Istituto San Paolo) o di una vendita.
Al di là di tutti gli interventi che si sono succeduti, bisogna fare alcune puntualizzazioni ripercorrendo la storia di questo Istituto di Credito, allora CaRiMa, che in nome di un rafforzamento del territorio si è fuso una prima volta con la cassa di risparmio di Pesaro, ed anche quella volta su questo processo intervennero gli autorevoli personaggi - forse sempre gli stessi - concludendo che alla fine era un obiettivo giusto da perseguire. Nel 1994 si è verificata un'altra fusione con la cassa di risparmio di Jesi, stessi discorsi, stesse polemiche, stessi personaggi: sull'argomento si pronunciò a favore anche il Consiglio Comunale dell'epoca.
Arriviamo alla situazione attuale in cui si parla di questo evento molto vicino. Le prese di posizione riguardano soprattutto la territorialità della banca vista soprattutto attraverso la Governance.
Ma la Governance di per sé non fa la territorialità come dimostrato in più di una circostanza.
La territorialità invece può e deve esprimere la Governance.
È necessario fare discorsi chiari. Se si parla di distribuzione di poltrone nell'ambito della Governance in un istituto più grande basta seguire quello che dice un famoso manuale. Se si parla di territorialità con tutto ciò che ne consegue (e che spiegherò), la territorialità non può essere salvaguardata in costanza di una fusione di ampia portata anzi la territorialità viene venduta nel senso che un grande istituto, magari del Nord, si trova ad avere, pagando un prezzo più o meno equo, una rete di sportelli già preconfezionata, già funzionante, già in rete con il tessuto produttivo locale e per tutto questo può benissimo pagare un surplus sotto forma di qualche poltrona di Governance.
Ipotizzando questo secondo scenario quali sarebbero i benefici per il territorio? A mio avviso non ce ne sono perché - la storia del Credito Italiano già lo dimostra - le dipendenze sul territorio delle grandi banche italiane, pur possedendo strutture altamente informatizzate e specializzazioni in vari segmenti, non sono in grado di soddisfare appieno le esigenze di tutta l'utenza territoriale (dal grande al piccolissimo), non riuscendo a percepire le peculiarità strutturali e le relative variabili.
(Obiezione: ma le filiali restano pur sempre quelle!!! Dal punto di vista statico si, ma nel tempo sono destinate a cambiare sia perché cambia la strategia d'impresa sia perché cambia la governance, cambiano gli obiettivi e cambiano le persone.)
Bisogna anche considerare che il ragionamento che stiamo affrontando è nell'ottica dei benefici al territorio perché se guardiamo la vicenda dal punto di vista della banca, che è una impresa, la fusione rientra nell'ottica della crescita dimensionale, che è un concetto imprenditoriale attualmente correttamente perseguito ai fini della competitività.
Quindi se affrontiamo la questione da un punto di vista squisitamente aziendale, e quindi dal punto di vista della Banca, la fusione va bene e questo lo dico sia come politico che come commercialista.
Ma se, come credo, il principale compito di un politico è quello di analizzare le questioni da un punto di vista di utilità pubblica ed in funzione territoriale, le ipotesi della fusione o della vendita non vanno bene. Per fare un esempio, avrei voluto vedere come il gruppo intesa San Paolo avrebbe gestito la crisi del settore calzaturiero nel nostro distretto. Chi cerca di abbinare le due cose - il punto di vista aziendale è il punto di vista territoriale - o è in malafede o ha poco riflettuto sulla questione.
La vera banca che serve al territorio è quella banca che vive il territorio e vi ha radicamento, che interpreta le evoluzioni economiche e congiunturali ancor prima dell'imprenditore,.
Territorialità significa anche e soprattutto conoscenza e capacità di sintonizzarsi con le caratteristiche dei clienti-utenti, degli imprenditori, dei commercianti, degli artigiani, delle famiglie, dei giovani di questo territorio e per fare questo occorre una grande sensibilità che solo una Banca locale può avere con la sua “comunità”.
Il direttorio della Banca d'Italia intende procedere ad una riorganizzazione della struttura periferica dell'istituto che nell'immediato comporterebbe per quanto riguarda le Marche la chiusura della sola filiale di Macerata. Resterebbero aperte, con compiti diversi, le filiali di Ascoli Piceno e Pesaro e la sede di Ancona.
I criteri di scelta per la chiusura di questa filiale, che sarebbe l'unica nelle Marche ad essere chiusa, non sono affatto chiari tanto che sono stati contestati anche dalle sigle sindacali.
Ho con me un volantino di rivendicazione della “Federazione Autonoma Lavoratori Banca d'Italia” - Sindacato Nazionale Banca Centrale e Autorità - che recita testualmente:
“Il presidente dell'Unione delle Province Italiane, On. Fabio Melilli, ha richiesto un'audizione alla Commissione Parlamentare di competenza, per sostenere le ragioni del mantenimento di tutte le filiali sul territorio.
Contemporaneamente, l'Unione delle Province Italiane ha già richiesto alla Commissione Parlamentare di promuovere un intervento sulla Banca d'Italia per indurla a sospendere la presentazione, al consiglio superiore del 28 settembre, il piano di ristrutturazione che prevede la chiusura di 39 filiali.
Prosegue, con la massima coerenza, il nostro sforzo per sensibilizzare la politica sui danni, alla collettività e al paese, che sarebbero determinati dal progetto della Banca.”
Firmato : Segreteria Generale FALBI – CONFSAL (sindacato facente parte della Federazione delle Banche Centrali Europee).
Come ho già accennato, i criteri che hanno portato alla chiusura di alcune filiali della Banca d'Italia e non di altre, anche di alcune per cui la chiusura era invece prevista, sono tutt'altro che chiari. Si suppone che l'operazione sia esclusivamente politica perché, avendo riguardo alla filiale di Macerata, filiali analoghe per grandezza, operatività, vicinanza dal capoluogo di Regione, sono rimaste aperte. (gli elementi menzionati potrebbero essere elementi presi a base per la scelta).
Per esempio: in Sicilia, dove era prevista la chiusura di sette filiali sul nove, alla fine sono state chiuse due sole filiali e ne sono rimaste aperte sette.
Si suppone che il criterio utilizzato sia esclusivamente politico. Le iniziative sul territorio maceratese a difesa della filiale della Banca d'Italia sono state essenzialmente due. La prima, un ordine del giorno presentato al comune di macerata firmato ed approvato dall'unanimità dei consiglieri. La seconda: un ordine del giorno, che ricalcava il documento approvato unanimemente dal Comune di Macerata, presentato in Provincia dal sottoscritto che invitava il presidente della provincia e l'amministrazione provinciale a intraprendere nelle opportune sedi politiche ed istituzionali tutte le iniziative indispensabili per la permanenza della filiale della Banca d'Italia ha Macerata. Quest'ultimo non è stato approvato dal consiglio provinciale mentre è stata approvata una mozione presentata dalla maggioranza di centro-sinistra più possibilista sull'accentramento ad Ancona.
La chiusura della filiale della Banca d'Italia macerata, unitamente ai tanti altri uffici che sono in difficoltà - si parla infatti con sempre maggiore insistenza anche delle ridimensionamento delle Prefetture, delle Questure, degli Archivi di Stato, delle Direzioni Provinciali del Tesoro, degli ex Provveditorati agli Studi di molti altri enti da sempre posti a presidio del territorio provinciale a tutela dei suoi abitanti - porta ad un indebolimento e ad onde l'impoverimento del capoluogo maceratese e della sua provincia.
La territorialità va difesa. Ed è mancata proprio una difesa forte delle istituzioni e della maggior parte dei politici a favore del mantenimento di un presidio che gratuitamente al servizio del territorio e dei suoi cittadini.
Non solo manca una progettualità per la Macerata del futuro, ma viene consentita le spoliazione di quanto già esistente.
2) Banca delle Marche
Analoghe difficoltà si stanno vivendo in questi giorni per la Banca delle Marche, per la quale si parla breve di una fusione con un grande istituto bancario nazionale (si pensa sia l’Istituto San Paolo) o di una vendita.
Al di là di tutti gli interventi che si sono succeduti, bisogna fare alcune puntualizzazioni ripercorrendo la storia di questo Istituto di Credito, allora CaRiMa, che in nome di un rafforzamento del territorio si è fuso una prima volta con la cassa di risparmio di Pesaro, ed anche quella volta su questo processo intervennero gli autorevoli personaggi - forse sempre gli stessi - concludendo che alla fine era un obiettivo giusto da perseguire. Nel 1994 si è verificata un'altra fusione con la cassa di risparmio di Jesi, stessi discorsi, stesse polemiche, stessi personaggi: sull'argomento si pronunciò a favore anche il Consiglio Comunale dell'epoca.
Arriviamo alla situazione attuale in cui si parla di questo evento molto vicino. Le prese di posizione riguardano soprattutto la territorialità della banca vista soprattutto attraverso la Governance.
Ma la Governance di per sé non fa la territorialità come dimostrato in più di una circostanza.
La territorialità invece può e deve esprimere la Governance.
È necessario fare discorsi chiari. Se si parla di distribuzione di poltrone nell'ambito della Governance in un istituto più grande basta seguire quello che dice un famoso manuale. Se si parla di territorialità con tutto ciò che ne consegue (e che spiegherò), la territorialità non può essere salvaguardata in costanza di una fusione di ampia portata anzi la territorialità viene venduta nel senso che un grande istituto, magari del Nord, si trova ad avere, pagando un prezzo più o meno equo, una rete di sportelli già preconfezionata, già funzionante, già in rete con il tessuto produttivo locale e per tutto questo può benissimo pagare un surplus sotto forma di qualche poltrona di Governance.
Ipotizzando questo secondo scenario quali sarebbero i benefici per il territorio? A mio avviso non ce ne sono perché - la storia del Credito Italiano già lo dimostra - le dipendenze sul territorio delle grandi banche italiane, pur possedendo strutture altamente informatizzate e specializzazioni in vari segmenti, non sono in grado di soddisfare appieno le esigenze di tutta l'utenza territoriale (dal grande al piccolissimo), non riuscendo a percepire le peculiarità strutturali e le relative variabili.
(Obiezione: ma le filiali restano pur sempre quelle!!! Dal punto di vista statico si, ma nel tempo sono destinate a cambiare sia perché cambia la strategia d'impresa sia perché cambia la governance, cambiano gli obiettivi e cambiano le persone.)
Bisogna anche considerare che il ragionamento che stiamo affrontando è nell'ottica dei benefici al territorio perché se guardiamo la vicenda dal punto di vista della banca, che è una impresa, la fusione rientra nell'ottica della crescita dimensionale, che è un concetto imprenditoriale attualmente correttamente perseguito ai fini della competitività.
Quindi se affrontiamo la questione da un punto di vista squisitamente aziendale, e quindi dal punto di vista della Banca, la fusione va bene e questo lo dico sia come politico che come commercialista.
Ma se, come credo, il principale compito di un politico è quello di analizzare le questioni da un punto di vista di utilità pubblica ed in funzione territoriale, le ipotesi della fusione o della vendita non vanno bene. Per fare un esempio, avrei voluto vedere come il gruppo intesa San Paolo avrebbe gestito la crisi del settore calzaturiero nel nostro distretto. Chi cerca di abbinare le due cose - il punto di vista aziendale è il punto di vista territoriale - o è in malafede o ha poco riflettuto sulla questione.
La vera banca che serve al territorio è quella banca che vive il territorio e vi ha radicamento, che interpreta le evoluzioni economiche e congiunturali ancor prima dell'imprenditore,.
Territorialità significa anche e soprattutto conoscenza e capacità di sintonizzarsi con le caratteristiche dei clienti-utenti, degli imprenditori, dei commercianti, degli artigiani, delle famiglie, dei giovani di questo territorio e per fare questo occorre una grande sensibilità che solo una Banca locale può avere con la sua “comunità”.